di Rosanna Cerone e Filomena (special guest)
Filomena, un nome di origini greche, un nome legato alla tradizione soprattutto delle regioni del sud, che vede le sue declinazioni in Mena, Minocchia…. Un significato che dice già tutto di questa storia (*).
Filomena, classe 1940, di viaggi verso il Nord ne ha fatti tanti, per raggiungere i propri figli, per accudire le amate nipoti per respirare un’aria diversa dal piccolo paese dell’alta collina Materana e godere delle novità e delle stranezze che una città del Nord può offrire.
Filomena, il 23 febbraio 2020 prende un treno e ancora una volta è pronta ad affrontare tante ore di viaggio pur di donare due carezze dal vivo e preparare gustosi manicaretti ai suoi cari.
“E’ l’ultima volta che vado!!!” confida alle sue amiche la sera prima della partenza “Non sono più giovane, ma un’ultima volta voglio andare”
La stazione di Milano centrale la sera del 23 febbraio appare come qualcosa di surreale…non si capisce bene cosa stia per succedere, ma il terrore e lo spavento corre già su quei binari e negli occhi degli ultimi viaggiatori di una sera che segna l’inizio di tutto. Il giorno dopo è conferma. Da lunedì scuole chiuse. Il Covid è arrivato silenzioso e invisibile, è già nei nostri corpi.
Filomena ha un animo gentile e allo stesso tempo uno spirito ironico ereditato da suo marito mancato appena due anni fa. Le battute in casa con i figli all’inizio sdrammatizzano il susseguirsi delle notizie:
“Vuoi vedere che zia Marietta (cognata-amica-confidente) ci ha preso davvero con le sue nefaste previsioni e io non torno più al mio paese!?” “M’ha tirat’ l pid !!!”(Mi ha portato sfiga, nota=
Alle battute purtroppo seguono i fatti: le ordinanze si fanno sempre più restrittive e i casi di contagio sempre più prossimi. Filomena ha paura, paura per sé e per i suoi cari. È già provata da altre piccole patologie ma sta attenta, cerca di fare il possibile per evitare il contagio. Ma si sa…questo COVID non ha guardato in faccia nessuno, si è insinuato anche laddove nessuno se l’aspettava.
È il 24 marzo quando, dopo la seconda segnalazione al pronto soccorso, finalmente arriva un’ambulanza. Sono giorni duri per Bergamo, il tempo è scandito da campane a lutto e sirene sin dalle prime luci dell’alba. Arrivare in tempo da un contagiato e salvare una vita è una lotta contro ad armi impari. Filomena ha una saturazione bassissima. Ricovero immediato. Via da casa subito, da sola, con pochi effetti personali. I figli la salutano dietro mascherine umide con la quasi totale certezza che non “andrà tutto bene”.
Le prime settimane sono durissime, le telefonate quotidiane dei medici non danno speranze, gli si vorrebbe chiedere l’impossibile, ma si accetta ogni loro comunicazione anche in segno di rispetto per tutto quanto stanno facendo…per tutti. Filomena però è tenace, osserva pedissequamente ogni indicazione medica, non molla, non può finire così. Nelle video chiamate non può parlare, la maschera che le copre il viso glielo impedisce, fa cenni con la testa che i suoi cari si sforzano di comprendere. E intanto ogni volta, chiusa la chiamata, la disperazione è tanta, il senso d’impotenza per un dolore imprevisto ma da mettere in conto è forte. Si piange, ci si dispera ma bisogna agire con lucidità…qualunque cosa accada.
18 giorni di terapia intensiva e il resto in corsia degenti. Filomena resiste, riprende a respirare da sola, conforta la sua compagna di stanza, più giovane di lei ma con qualche problema di Alzheimer. Ma Filomena ha sempre avuto una predisposizione naturale alla cura per gli altri, lo ha fatto con il suo anziano papà, con il suo amato marito…non le costa assecondare le richieste improbabili di questa donna sconosciuta con la quale condivide la stessa amara sorte. E allora si presta ad aiutarla ad usare il telefono, lei che di anni ne ha quasi ottanta chatta e posta foto e video meglio di un a teenager, risponde ai messaggi dei suoi parenti rassicurandoli sullo stato di salute della loro congiunta, instaura relazione e da brava sarta qual è ricuce i lembi di una trama umana che altrimenti continuerebbero a lacerarsi tra le corsie di questa immane emergenza.
Dopo un mese Filomena fa il secondo tampone: negativo; poi il terzo: ancora positivo ma con bassa carica virale. Filomena può sì lasciare l’ospedale, ma non può rientrare a casa dai suoi figli. E così, come tanti, viene trasferita in un albergo di lusso adibito a struttura post degenza per la quarantena. Qui però, del lusso e lo sfarzo sono rimasti solo gli arredi e qualche complemento architettonico. Qui ci sono persone accarezzate dalla mano fredda della morte, persone che non si riconosce più nei tratti per i capelli lunghi o le barbe imbiancate, persone che non ha salutato i cari venendo via dalla propria casa e che non troverà più al rientro.
La camera è accogliente, dotata di tutti i comfort. Il personale è gentile, disponibile. La prima, ma anche la seconda notte non si dorme. Si è in tanti nella struttura, ma soli nel letto, nell’anima. Poi Filomena prende coraggio, fa capolino in corridoio e scopre che quella solitudine interiore, se portata fuori dalla propria stanza, se condivisa…fa meno paura. E allora si spinge oltre, percorre qualche metro appoggiandosi al girello, è speranzosa, ce la fa. Rientra in camera stanca ma soddisfatta, un altro tassello verso la completa guarigione.
Le video chiamate con i figli e le amiche si fanno più frequenti e ad orari regolari per aggiornarsi continuamente. Il pasto è buono, caldo, servito con cura e attenzione…quasi una coccola quella merenda dolce dopo tanto tempo. Man mano anche il personale diventa una figura familiare, nonostante le mascherine e i camici, si cominciano a riconoscere gli occhi, le voci, si intravedono i sorrisi ai quali lei risponde sempre con infinita gentilezza e gratitudine.
Filomena è donna di fede e carità e quando il parroco le fa visita gli racconta alcune cose di sé, di quei figli venuti a trovare…di quanto le è stato d’aiuto la preghiera. Si sente protetta dalla fede.
Non è possibile ricevere visite in albergo e allora Filomena si affaccia alla finestra più prossima al parcheggio e saluta quel figlio che non l’ha mollata un attimo, che a sua madre ha voluto dire tutto il bene e l’ammirazione che prova per lei anche quando pensava che sarebbero state le ultime cose che avrebbe potuto ascoltare.
Quel corridoio lungo e levigato è diventato ormai il passeggio, il corso…il posto dello “struscio”. Ogni giorno ci si ri-conosce sempre di più, si sanno i nomi, le età …i giorni di degenza ospedaliera, gli esiti dei tamponi. Ci si racconta delle proprie vite, si scoprono hobby, passioni, professioni.
Oggi Filomena ha chiamato i suoi figli, felice più di sempre perché altre sei persone hanno lasciato “l’albergo”. Sono arrivate addirittura le telecamere, li hanno intervistati!!! E poi via…tutti insieme nel corridoio a farsi la foto. Il caso vuole che sembrano tutti vestiti uguali, non si distinguono più i camici dalla camicia da notte. Si è un tutt’uno. Uniti nella forza e nella speranza. “Un famiglia” come ha detto a voce alta nel video inviato. Una vera comunità creatasi nell’emergenza e che forse da un senso al futuro.
“Manca poco” dice, “manca poco e uscirò anch’io”. Il figlio la prende in giro: “Mamma sistemati i capelli che poi magari intervistano pure te!!!” Filomena ride, ha già programmato la sua vita fuori. Ha grandi progetti Filomena e il suo nome non può che confermarci che li realizzerà tutti.
È un grande condominio questo albergo e questo corridoio è un lungo pianerottolo abitato da umana resilienza.
(*)Significato del nome Filomena:
Riprendendo il significato dei due termini greci che danno vita al nome Filomena, il significato può essere “amica della forza”, ma può anche voler dire “amata” perché riconducibile al termine greco philoumene, che significa “amata” e che è il participio presente medio passivo del verbo fileo, che vuol dire, appunto, “amare”.