di Laura Chiavetta
L’11 marzo è stato il mio ultimo giorno di lavoro in azienda. Fisicamente.
Il giorno dopo è la data di inizio della mia quarantena, fatta di umori altalenanti che proverò a descrivervi in una pretenziosa sinossi con qualche paragone.
Hai presente quando finisce una storia d’amore? Ecco… La mia quarantena è andata più o meno allo stesso modo.
Fase del “Triste io? Mai stata meglio”!
Così come quando si interrompe una relazione e vuoi dimostrare ai tuoi amici, alla tua famiglia, al tuo ex, che sei in formissima, le mie prime due settimane di quarantena sono state brillanti…
Lo smart working? Pazzesco! La fila al supermercato? Dai, ci vuole lo spirito giusto, è la scusa per prendere una boccata d’aria per un paio d’ore. Le videochiamate? Ma perché le abbiamo snobbate fino ad adesso? E via dicendo sulla scia dell’ottimismo più becero.
Questo stato mentale tuttavia è breve, insostenibile per il mio fisico.
Fase del “Non troverò mai nessuno capace di amarmi per come sono”.
Non c’è scampo per i cinici: il quartiere canta ed applaude in balcone ed io, degna protagonista di un film di Hitchcock, dò una sbirciata da dietro i vetri e chiudo la serranda.
Non c’è espiazione nella panificazione: un intero popolo litiga per il lievito e posta carboidrati a palla, io provo una volta a fare la pizza con l’impasto pronto dell’Unes, non la digerisco e sto male per due giorni.
Non c’è romanticismo nella “lentezza imposta”: talk show, social, amici, conoscenti, parenti, pontificano sulla quarantena come “rallentare”, vivere il tempo e gli affetti in maniera diversa, riflettere sui peccati dell’Occidente, cambiare in meglio… E in me si fa strada il pensiero, suggerito da qualcosa che ho letto o sentito non so dove, che questo modo di viverla, questo romanzarla, è l’ennesima colpa di cui ci stiamo macchiando e che se davvero abbiamo bisogno di questo per avere un minimo momento di introspezione e di voglia di migliorarci, allora siamo già una civiltà in declino, ma da un bel po’.
Fase del “Mi vendicherò su tutto il generale maschile (o femminile, a seconda delle inclinazioni di ciascuno)”.
Piani di fuga dal Nord con mezzi di trasporto di fortuna, licenziamento, lotta di classe, ritorno alle origini, messa in discussione di tutte le scelte fatte negli ultimi 5 anni, revisione delle priorità, inappetenza, acquisti online compulsivi, programmazione di un piano di investimento di medio periodo che mi consenta di fare finalmente quello per cui sono effettivamente nata ovvero una beneamata minchia.
Signori, questo è il momento più distruttivo e delicato perché nelle tue fantasie, pur di uscire da questa fase di stallo, di costrizione fisica, emotiva e mentale, sei disposto a tutto, atti di terrorismo e matrimoni combinati compresi, tutto, pur di dare una svolta.
Fase dell’accettazione.
Ecco… Quando meno te aspetti, ne vieni fuori. Ammetti a te stesso le tue fragilità, gli abissi della tua follia, ma soprattutto ti soffermi su chi, nonostante le distanze forzate, c’è e c’è stato anche in questi 60 e più giorni.
Parenti, amici, amanti. Gli affetti stabili, insomma. E con questa ritrovata tranquillità, diciamo che mi sento pronta a riaffacciarmi alla vita fuori dal mio bilocale.
Nella mia quarantena non ci sono storie di vicinato. Non ci siamo scoperti comunità, non ho conosciuto i miei dirimpettai… La signora, credo 90nne, che abita nell’appartamento accanto al mio è rimasta la solita presenza invisibile e confortante che si palesa solo con il rumore dello scarico del suo bagno che confina con la mia cucina; della famiglia dell’appartamento di fronte al mio so solo che lasciano le scarpe sul pianerottolo; dell’appartamento alla mia sinistra non so assolutamente nulla, come prima del Covid.
Insomma, tutto sommato è andata bene…Ho delle nuove consapevolezze questo senz’altro.
Ritorneremo forse alle nostre vecchie vite ed abitudini e gli auguri alla “Andrà tutto bene” forse cederanno il passo alle solite nostre vecchie viltà…Non lo so…
Io con un pizzico di ipocrisia, come da cliché, a questa quarantena direi… “Guarda, non sei tu, sono io… Ma… Davvero… Restiamo amici, ti telefono io”.